La leggenda della nascita del Ju-Jitsu
Tratto dal libero originale del M° Gino Bianchi "La dolce arte del Samuray ad uso degli occidentali"
Il seguente racconto è integralmente tratto dal libro "LA DOLCE ARTE DEL SAMURAY AD USO DEGLI OCCIDENTALI" Metodo di difesa personale di GINO BIANCHI - Maestro Istruttore della Federazione Autonoma Jiu-Jitsu di Genova.
(…)
Circa le origini di questa lotta esistono varie leggende di cui la più attendibile sembra sia la seguente:
<< Nel 590 a.c. a Yeddo, residenza dei Sogun (luogotenenti dell’Imperatore), in un salone del castello Sogunale si riunirono i governatori di 18 province capeggiati da Jikamon Nò Kamu Hikomè per decidere di inibire l’uso delle armi ai guerrieri Samuray o uomini a due spade. Tale decisione aveva lo scopo di evitare che detti guerrieri continuassero a cimentarsi ad ogni futile motivo in duelli mortali. Ben presto però il rimedio si rivela peggiore del male, si ritorna infatti alla legge dello strapotere fisico secondo la quale legge il più forte comanda il più debole.
Alcuni guerrieri, approfittando della loro vigoria muscolare, continuarono a spadroneggiare fino al punto di macchiarsi di orrendi crimini.
Tajamano Kokajo, feroce sadico gigante capitano della guardia Imperiale, spinse la sua impudenza oltre ogni limite, tentando di usare violenza ad una cara ed innocente fanciulla di dodici anni, la quale, dopo essere stata imprigionata per vari giorni, preferì uccidersi facendosi Karakiri, non senza prima aver svelato i suoi propositi mediante uno scritto all’adorato fratello, timido ed esile samuray. Purtroppo il messaggio giunse troppo tardi ed al samuray altro non restò che piangere la morte dell’adorata sorella. D’altra parte, anche se ne fosse venuto al corrente prima, nulla avrebbe potuto fare al cospetto del truce gigante, che, oltre a possedere enorme prestanza fisica e grande coraggio, era anche protetto dall’Imperatore, il quale vedeva in lui una specie di simbolo della forza nei confronti dei nemici. Il samuray giurò di vendicare l’onta subita. Avrebbe potuto ucciderlo a tradimento, ma ciò non era nel suo carattere, voleva ucciderlo, sì, ma lealmente e a faccia a faccia come qualunque mortale. Fisicamente debole rispetto al demoniaco ufficiale dell’Imperatore, il samuray si torturò le meningi dedicandosi anima e corpo alla ricerca di qualche cosa che potesse invertire il detto “conta solo la forza”.
Un giorno, dopo un’abbondante nevicata, egli osservò che mentre alcune robuste querce sotto il peso della neve furono stroncate, l’esile salice si era limitato flettersi, consentendo alla bianca coltre di cadere al suolo e ritornando a drizzarsi sul suo fusto.
Questa constatazione illuminò il samuray, che studiò a fondo l’anatomia del corpo umano provando su se stesso e sui propri fratelli diverse mosse, riuscendo a stabilire che: facendo perdere l’equilibrio in differenti maniere e agendo simultaneamente su alcune parti del corpo si poteva mettere fuori combattimento qualsiasi individuo.
L’ora X per il giovane samuray era scoccata e l’occasione gli si presentò molto presto. Ricorreva allora il periodo delle grandi cerimonie durante le quali i nobili si dilettavano assistendo a sfide di ogni sorta, dai duelli alla rude lotta giapponese denominata “Sumo” (specie di lotta libera senza esclusione di colpi eseguita con la massima rudezza da individui fortissimi, lotta che registrava alla fine la morte di uno dei contendenti, tanto era brutale tale stile di combattere).
Su questi duellanti i nobili puntavano i loro desideri e scommesse; sulla grande spianata antistante il castello Schirò erano già state sistemate le tende di corte con il palco riservato all’Imperatore, il quale, con la sua magnifica sposa, avrebbe, il mattino successivo, dato il via alle tenzoni.
Il popolo affluiva da ogni parte per poter assistere alle cerimonie accampandosi alla meglio in un’indescrivibile confusione.
Finalmente giunse l’ora dell’apertura dei giuochi per mano dell’Imperatore, che aveva al suo fianco il truce gigante Tajamano Kokajo nella sua superba divisa di capitano. Due lottatori entrarono in campo ed al suono del grande gong iniziarono la tremenda competizione; il popolo non trascurava gli incoraggiamenti aizzando or l’uno o l’altro, finché uno dei due restò disteso a terra privo di vita per le strette ricevute.
I secondo duello era tra due sciabolatori e terminò presto con la vittoria di un appartenente alla guardia Imperiale; fu in quel momento che Tajamano Kokajo scendendo nell’arena e alzando il pugno urlò ai presenti ed in modo significativo: “Ecco come le mie guardie trattano coloro che osano sfidarle” e dicendo ciò posò con forza il piede sulla testa del guerriero morto. L’eco delle sue parole non si era ancora spento che una voce dolce e calma si levò tra la folla: “Io oso sfidare te, vile e prepotente Kokajo, e non al duello con armi, ma in lotta corpo a corpo”. Tale sfida destò prima stupore ed immediatamente uno scoppio generale di ilarità, alla quale presero parte tutti, non escluso l’Imperatore.
Tajamano Kokajo, dopo aver riso sguaiatamente, si girò verso il palco Imperiale ed a gran voce disse: “Mio Imperatore, questo verme che ha osato insultare il capitano delle tue guardie deve essere punito”.
La voce era quella del giovane ed esile samuray Nomino Sukune, vestito di un lungo kimono bianco, colore della purezza, cinto alla vita da una sciarpa di colore nero, sciarpa che gli ricordava la defunta sorella, avendogliela lei stessa confezionata.
L’Imperatore alzandosi disse: “Come osi, Nomino Sukune, sfidare il simbolo delle mie guardie, il terrore dei nemici della nostra Patria? Per punirti di tanta audacia, ti permetterò di cimentarti contro Tajamano, ben sapendo che ciò segnerà la tua fine; ma se per magia tu riuscirai a salvarti e ad essere risparmiato dal mio capitano, sarai condannato alla decapitazione per aver osato tanto”.
Il samuray s’inchinò in segno d’assenso e si avviò verso l’arena tra gli sguardi atterriti del popolo che dopo lo scoppio di ilarità erano presi da un senso di preoccupazione per la vita del giovane e ben voluto samuray. Appena i due contendenti furono di fronte, Sukune così parlò: “Tajamano Kokajo, le tue malefatte stanno per aver fine, i tuoi soprusi sono terminati, la vita di mia sorella Fior di Loto sta per essere vendicata; io ti ucciderò con queste mie mani e la tua tanto vantata forza nulla potrà fare per impedirmelo”.
Si udì il colpo del gong, Sukune fece un gentile inchino all’avversario, che dal canto suo si limitò a fare un grugnito misto ad un arrogante sorriso di scherno e la singolare tenzone ebbe inizio.
La prima mossa di Tajamano fu quella di cercare di avvinghiare il giovane, ma questi con sorprendente agilità si scartò da un lato provocando l’ira dell’avversario, il quale tornò alla carica cercando di colpirlo; ad un dato momento vi riuscì, lo prese per il collo e cominciò la stretta.
Un urlo di terrore si levò dal popolo che vedeva in ciò la fine del samuray, ma tosto l’urlo si tramutò in ovazione quando vide che con un magistrale sbilanciamento il forte Tajamano era precipitato sul terreno. Verde di rabbia, con la bava alla bocca, il gigante non riusciva a rendersi conto di come quell’omino da lui considerato un vermiciattolo avesse potuto gettarlo a terra mentre stava per essere strangolato.
Si rialzò e lanciandosi come un ariete prese Sukune per la vita, lo sollevò sulla sua testa e stava per lanciarlo oltre, quando si trovò con il collo imprigionato tra le gambe del samuray. Una stretta alla gola lo fece cadere lentamente a terra dibattendosi mentre Sukune (che continuava la stretta sempre più forte), rivolgendosi all’Imperatore, disse: “ecco, o mio signore, la fine del famigerato Tajamano Kokajo; ho mantenuto il mio giuramento, ho vendicato Fior di Loto distruggendo il suo assassino, senza armi e senza interventi di magia”.
L’Imperatore volle conoscere di persona l’astuto samuray, al quale dette l’incarico di insegnare agli uomini della guardia Imperiale l’arte della difesa personale, al fine di renderli praticamente invulnerabili.>>
L’era del Jiu-Jitsu iniziava……
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Circa le origini di questa lotta esistono varie leggende di cui la più attendibile sembra sia la seguente:
<< Nel 590 a.c. a Yeddo, residenza dei Sogun (luogotenenti dell’Imperatore), in un salone del castello Sogunale si riunirono i governatori di 18 province capeggiati da Jikamon Nò Kamu Hikomè per decidere di inibire l’uso delle armi ai guerrieri Samuray o uomini a due spade. Tale decisione aveva lo scopo di evitare che detti guerrieri continuassero a cimentarsi ad ogni futile motivo in duelli mortali. Ben presto però il rimedio si rivela peggiore del male, si ritorna infatti alla legge dello strapotere fisico secondo la quale legge il più forte comanda il più debole.
Alcuni guerrieri, approfittando della loro vigoria muscolare, continuarono a spadroneggiare fino al punto di macchiarsi di orrendi crimini.
Tajamano Kokajo, feroce sadico gigante capitano della guardia Imperiale, spinse la sua impudenza oltre ogni limite, tentando di usare violenza ad una cara ed innocente fanciulla di dodici anni, la quale, dopo essere stata imprigionata per vari giorni, preferì uccidersi facendosi Karakiri, non senza prima aver svelato i suoi propositi mediante uno scritto all’adorato fratello, timido ed esile samuray. Purtroppo il messaggio giunse troppo tardi ed al samuray altro non restò che piangere la morte dell’adorata sorella. D’altra parte, anche se ne fosse venuto al corrente prima, nulla avrebbe potuto fare al cospetto del truce gigante, che, oltre a possedere enorme prestanza fisica e grande coraggio, era anche protetto dall’Imperatore, il quale vedeva in lui una specie di simbolo della forza nei confronti dei nemici. Il samuray giurò di vendicare l’onta subita. Avrebbe potuto ucciderlo a tradimento, ma ciò non era nel suo carattere, voleva ucciderlo, sì, ma lealmente e a faccia a faccia come qualunque mortale. Fisicamente debole rispetto al demoniaco ufficiale dell’Imperatore, il samuray si torturò le meningi dedicandosi anima e corpo alla ricerca di qualche cosa che potesse invertire il detto “conta solo la forza”.
Un giorno, dopo un’abbondante nevicata, egli osservò che mentre alcune robuste querce sotto il peso della neve furono stroncate, l’esile salice si era limitato flettersi, consentendo alla bianca coltre di cadere al suolo e ritornando a drizzarsi sul suo fusto.
Questa constatazione illuminò il samuray, che studiò a fondo l’anatomia del corpo umano provando su se stesso e sui propri fratelli diverse mosse, riuscendo a stabilire che: facendo perdere l’equilibrio in differenti maniere e agendo simultaneamente su alcune parti del corpo si poteva mettere fuori combattimento qualsiasi individuo.
L’ora X per il giovane samuray era scoccata e l’occasione gli si presentò molto presto. Ricorreva allora il periodo delle grandi cerimonie durante le quali i nobili si dilettavano assistendo a sfide di ogni sorta, dai duelli alla rude lotta giapponese denominata “Sumo” (specie di lotta libera senza esclusione di colpi eseguita con la massima rudezza da individui fortissimi, lotta che registrava alla fine la morte di uno dei contendenti, tanto era brutale tale stile di combattere).
Su questi duellanti i nobili puntavano i loro desideri e scommesse; sulla grande spianata antistante il castello Schirò erano già state sistemate le tende di corte con il palco riservato all’Imperatore, il quale, con la sua magnifica sposa, avrebbe, il mattino successivo, dato il via alle tenzoni.
Il popolo affluiva da ogni parte per poter assistere alle cerimonie accampandosi alla meglio in un’indescrivibile confusione.
Finalmente giunse l’ora dell’apertura dei giuochi per mano dell’Imperatore, che aveva al suo fianco il truce gigante Tajamano Kokajo nella sua superba divisa di capitano. Due lottatori entrarono in campo ed al suono del grande gong iniziarono la tremenda competizione; il popolo non trascurava gli incoraggiamenti aizzando or l’uno o l’altro, finché uno dei due restò disteso a terra privo di vita per le strette ricevute.
I secondo duello era tra due sciabolatori e terminò presto con la vittoria di un appartenente alla guardia Imperiale; fu in quel momento che Tajamano Kokajo scendendo nell’arena e alzando il pugno urlò ai presenti ed in modo significativo: “Ecco come le mie guardie trattano coloro che osano sfidarle” e dicendo ciò posò con forza il piede sulla testa del guerriero morto. L’eco delle sue parole non si era ancora spento che una voce dolce e calma si levò tra la folla: “Io oso sfidare te, vile e prepotente Kokajo, e non al duello con armi, ma in lotta corpo a corpo”. Tale sfida destò prima stupore ed immediatamente uno scoppio generale di ilarità, alla quale presero parte tutti, non escluso l’Imperatore.
Tajamano Kokajo, dopo aver riso sguaiatamente, si girò verso il palco Imperiale ed a gran voce disse: “Mio Imperatore, questo verme che ha osato insultare il capitano delle tue guardie deve essere punito”.
La voce era quella del giovane ed esile samuray Nomino Sukune, vestito di un lungo kimono bianco, colore della purezza, cinto alla vita da una sciarpa di colore nero, sciarpa che gli ricordava la defunta sorella, avendogliela lei stessa confezionata.
L’Imperatore alzandosi disse: “Come osi, Nomino Sukune, sfidare il simbolo delle mie guardie, il terrore dei nemici della nostra Patria? Per punirti di tanta audacia, ti permetterò di cimentarti contro Tajamano, ben sapendo che ciò segnerà la tua fine; ma se per magia tu riuscirai a salvarti e ad essere risparmiato dal mio capitano, sarai condannato alla decapitazione per aver osato tanto”.
Il samuray s’inchinò in segno d’assenso e si avviò verso l’arena tra gli sguardi atterriti del popolo che dopo lo scoppio di ilarità erano presi da un senso di preoccupazione per la vita del giovane e ben voluto samuray. Appena i due contendenti furono di fronte, Sukune così parlò: “Tajamano Kokajo, le tue malefatte stanno per aver fine, i tuoi soprusi sono terminati, la vita di mia sorella Fior di Loto sta per essere vendicata; io ti ucciderò con queste mie mani e la tua tanto vantata forza nulla potrà fare per impedirmelo”.
Si udì il colpo del gong, Sukune fece un gentile inchino all’avversario, che dal canto suo si limitò a fare un grugnito misto ad un arrogante sorriso di scherno e la singolare tenzone ebbe inizio.
La prima mossa di Tajamano fu quella di cercare di avvinghiare il giovane, ma questi con sorprendente agilità si scartò da un lato provocando l’ira dell’avversario, il quale tornò alla carica cercando di colpirlo; ad un dato momento vi riuscì, lo prese per il collo e cominciò la stretta.
Un urlo di terrore si levò dal popolo che vedeva in ciò la fine del samuray, ma tosto l’urlo si tramutò in ovazione quando vide che con un magistrale sbilanciamento il forte Tajamano era precipitato sul terreno. Verde di rabbia, con la bava alla bocca, il gigante non riusciva a rendersi conto di come quell’omino da lui considerato un vermiciattolo avesse potuto gettarlo a terra mentre stava per essere strangolato.
Si rialzò e lanciandosi come un ariete prese Sukune per la vita, lo sollevò sulla sua testa e stava per lanciarlo oltre, quando si trovò con il collo imprigionato tra le gambe del samuray. Una stretta alla gola lo fece cadere lentamente a terra dibattendosi mentre Sukune (che continuava la stretta sempre più forte), rivolgendosi all’Imperatore, disse: “ecco, o mio signore, la fine del famigerato Tajamano Kokajo; ho mantenuto il mio giuramento, ho vendicato Fior di Loto distruggendo il suo assassino, senza armi e senza interventi di magia”.
L’Imperatore volle conoscere di persona l’astuto samuray, al quale dette l’incarico di insegnare agli uomini della guardia Imperiale l’arte della difesa personale, al fine di renderli praticamente invulnerabili.>>
L’era del Jiu-Jitsu iniziava……
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