L'inizio di una splendida avventura
del M° Aldo Corallo, Direttore Tecnico e fondatore della ASD JU JITSU PIEVE LIGURE
Dal 15 febbraio 2015 la nostra Scuola si è formalmente costituita in ASD (Associazione Sportiva Dilettantistica). Le sue origini, però, risalgono al lontano 3 novembre 1997, quando avviavo il primo corso di Ju-Jitsu nell'ambito della ASD Polisports Pieve Ligure, come Sezione Sportiva di un'Associazione che, prima d'allora, si occupava esclusivamente di calcio.
Nessuno, a quel tempo, avrebbe scommesso un soldo sulla riuscita dell’iniziativa.
Guardata con scetticismo, se non con diffidenza (“ma cose lé u Giuggitzzu?” si vociferava in paese) la “cosa” lentamente prese forma.
Avviare una nuova disciplina in un contesto dove fino al giorno prima come offerta sportiva esisteva il solo calcio, non è stato semplice.
Occorreva superare l’iniziale diffidenza, convincere che “fare la lotta” non ha in sé nulla di negativo e che la violenza non trova posto all’interno di un Dojo.
Spiegare come, attraverso un percorso fatto sì di attività fisica, ma anche di attenzione a valori come il rispetto delle regole e del prossimo, un percorso fatto di sacrificio e di impegno, di concentrazione e di equilibrio si possa raggiungere quella particolarissima condizione psico-fisica di unione mente-corpo che consente azioni immediate, perfettamente coordinate, equilibrate e controllate.
Nei 18 anni di insegnamento presso la nostra scuola di Ju Jitsu-Polisports Pieve Ligure (dal 1997 al 2015) e nei precedenti 15 anni come insegnante al Centro Sportivo Culturale Champagnat di Genova (dal 1982 al 1997), ho visto tanti, veramente tanti bambini e ragazzi distratti, con il corpo qui e la mente altrove, oppure, al contrario, molto presenti con la mente, ma con il corpo incapace del più elementare movimento.
Naturalmente non intendo fare indebite diagnosi sociologiche sul perché del fenomeno. Prendo semplicemente atto di una realtà che mi ha portato a un convincimento: i nostri giovani hanno bisogno, un bisogno assoluto di muoversi, e per questo naturalmente va benissimo qualsiasi sport; ma hanno soprattutto necessità di sapere cosa fanno e perché lo fanno.
Mi ero già reso conto, da allievo prima e da agonista poi (man mano che andavo affinando certe capacità che avevo ammirato nei miei Maestri), di quanto importante fosse la concentrazione mentale su ogni singolo movimento, azione, tecnica: ogni gesto andava affrontato con attenzione. Solo così l'azione risultava immediata ed efficace e la fatica diventava piacere di fare.
Un’attività fisica consapevole, ecco cosa mi sono proposto col mio Ju-Jitsu… e, cosa ancor più difficile, rivolta a tutti: grandi e piccini, fisicamente dotati o meno. Un approccio "gentile" se vogliamo che, però, ha saputo dare ottimi frutti sia in campo tecnico che agonistico.
Un giorno un Maestro di altra arte marziale (7° Dan) venne a trovarci in palestra e, dopo aver assistito alla lezione cui prendevano parte, come sempre, bambini e ragazzi più o meno "portati" per il Ju Jitsu, mi disse che lui avrebbe buttato fuori l’ottanta per cento dei presenti, perché insegnare loro sarebbe stato tempo perso.
Non ricordo bene, ma penso di non avergli risposto.
Credo di non aver buttato via il mio tempo in tutti questi anni.
Credo di aver trasmesso qualcosa a tante persone.
Il mio allievo più giovane oggi ha tre anni e mezzo... il più anziano settanta.
Spero di aver dato qualcosa a entrambi.
Loro, a me, hanno dato molto.
Per questo li ringrazio.
M° Aldo Corallo
Nessuno, a quel tempo, avrebbe scommesso un soldo sulla riuscita dell’iniziativa.
Guardata con scetticismo, se non con diffidenza (“ma cose lé u Giuggitzzu?” si vociferava in paese) la “cosa” lentamente prese forma.
Avviare una nuova disciplina in un contesto dove fino al giorno prima come offerta sportiva esisteva il solo calcio, non è stato semplice.
Occorreva superare l’iniziale diffidenza, convincere che “fare la lotta” non ha in sé nulla di negativo e che la violenza non trova posto all’interno di un Dojo.
Spiegare come, attraverso un percorso fatto sì di attività fisica, ma anche di attenzione a valori come il rispetto delle regole e del prossimo, un percorso fatto di sacrificio e di impegno, di concentrazione e di equilibrio si possa raggiungere quella particolarissima condizione psico-fisica di unione mente-corpo che consente azioni immediate, perfettamente coordinate, equilibrate e controllate.
Nei 18 anni di insegnamento presso la nostra scuola di Ju Jitsu-Polisports Pieve Ligure (dal 1997 al 2015) e nei precedenti 15 anni come insegnante al Centro Sportivo Culturale Champagnat di Genova (dal 1982 al 1997), ho visto tanti, veramente tanti bambini e ragazzi distratti, con il corpo qui e la mente altrove, oppure, al contrario, molto presenti con la mente, ma con il corpo incapace del più elementare movimento.
Naturalmente non intendo fare indebite diagnosi sociologiche sul perché del fenomeno. Prendo semplicemente atto di una realtà che mi ha portato a un convincimento: i nostri giovani hanno bisogno, un bisogno assoluto di muoversi, e per questo naturalmente va benissimo qualsiasi sport; ma hanno soprattutto necessità di sapere cosa fanno e perché lo fanno.
Mi ero già reso conto, da allievo prima e da agonista poi (man mano che andavo affinando certe capacità che avevo ammirato nei miei Maestri), di quanto importante fosse la concentrazione mentale su ogni singolo movimento, azione, tecnica: ogni gesto andava affrontato con attenzione. Solo così l'azione risultava immediata ed efficace e la fatica diventava piacere di fare.
Un’attività fisica consapevole, ecco cosa mi sono proposto col mio Ju-Jitsu… e, cosa ancor più difficile, rivolta a tutti: grandi e piccini, fisicamente dotati o meno. Un approccio "gentile" se vogliamo che, però, ha saputo dare ottimi frutti sia in campo tecnico che agonistico.
Un giorno un Maestro di altra arte marziale (7° Dan) venne a trovarci in palestra e, dopo aver assistito alla lezione cui prendevano parte, come sempre, bambini e ragazzi più o meno "portati" per il Ju Jitsu, mi disse che lui avrebbe buttato fuori l’ottanta per cento dei presenti, perché insegnare loro sarebbe stato tempo perso.
Non ricordo bene, ma penso di non avergli risposto.
Credo di non aver buttato via il mio tempo in tutti questi anni.
Credo di aver trasmesso qualcosa a tante persone.
Il mio allievo più giovane oggi ha tre anni e mezzo... il più anziano settanta.
Spero di aver dato qualcosa a entrambi.
Loro, a me, hanno dato molto.
Per questo li ringrazio.
M° Aldo Corallo